Rock is the answer di Massimo Cotto è il libro perfetto se amate la musica (e se non avete mai tempo per leggere)

Massimo Cotto ha sfornato un altro libro che non può mancare nelle vostre librerie: Rock is the answer. Se amate la musica, ma non avete molto tempo da dedicare alla lettura, questo è libro perfetto per voi. 

Rock is the answer è un concentrato di aneddoti, curiosità e racconti rock

Massimo Cotto non ha bisogno di presentazioni: giornalista, disc jockey, scrittore, una delle voci più amate di Virgin Radio e, soprattutto, uno dei massimi esperti di musica in Italia.

Tra voci sopra le righe e divertenti aneddoti, meditazioni e consigli quotidiani, Cotto in Rock is the answer compone un “breviario rock”, riuscendo a ricavare riflessioni profonde da brani cult. Da ogni canzone citata viene tratta una parola chiave.

Per esempio, partendo da David Bowie con il brano Rebel Rebel, Massimo Cotto introduce una serie di aneddoti sulla ribellione. “[…] Non basta aver inciso Sympathy for the Devil o Revolution per essere dei rivoluzionari. La rivolta non è un titolo, è uno stile di vita“. Una breve riflessione di Mick Jagger che diventa questione esistenziale. Ogni tema una canzone, ogni canzone un aneddoto.

Nei che si trasformano in buchi neri: sono così le storie maledette e bellissime raccontate da Massimo Cotto.

Gli aneddoti e le confidenze degli artisti raccolti in Rock is the answer

In “Rock is the answer” Cotto racconta il rock attraverso confidenze e dichiarazioni di artisti che ha raccolto per tutta la vita, risposte che le rockstar hanno voluto consegnargli durante incontri e colloqui destinati a entrare nella storia. In Rock is the answer demoni e ispirazioni, vizi e virtù si mescolano dando vinta a riflessioni profonde e mai banali.

Rock is the answer: il miglior “libro da cesso” per gli amanti del rock

Rock is the answer è una sorta di calendario raccontato del rock. Come è nato?

«È un po’ un sequel di Rock Therapy, un libro che partiva dal presupposto che le canzoni possono guarire, se non proprio la tua vita, almeno i tuoi malanni quotidiani. Non volevo scrivere un Rock Therapy 2, perché i sequel – a parte quelli di Psycho e de “Il Padrino” – sono sempre più brutti. Ho pensato di partire da un altro presupposto: se è vero che le canzoni possono guarirti, lo possono fare anche le parole di chi ha scritto quelle canzoni o le ha cantate. Quindi ho selezionato 150 rockstar – anche se non sono tutti musicisti, in realtà – che a me hanno dato tantissimo. Ho riascoltato tutte le loro interviste e le ho riordinate come se fosse breviario, raccogliendo le loro dichiarazioni che, però, non sono aforismi. A me piace sempre ripetere che i miei sono “libri da cesso”, perché ogni storia che racconto dura giusto il tempo di andare in bagno».

Nel libro citi una frase di Roger Waters: “Anche musicalmente ci stiamo incamminando su una buona strada, finalmente. La gente per fortuna ha compreso quanto siano dannose le televisioni musicali via cavo, Mtv in testa, per lo sviluppo della buona musica. Oggi la gente sa che deve guardare altrove per trovare la qualità. Erano dichiarazioni del 2000”. Oggi queste parole fanno quasi sorridere. Meglio Mtv o Spotify secondo te?

«Questa dichiarazione è stata fatta a Berlino alla vigilia del grande concerto di “The Wall“. Io non ho mai specificato nelle interviste la data, perché mi piace pensare di aver scelto delle dichiarazioni che sono eterne e che non devono essere contestualizzate. In alcuni casi, però, fa abbastanza strano sentire oggi alcune di quelle dichiarazioni. Oggi è cambiato tutto. È cambiato il modo di ascoltare la radio. Le case discografiche non ragionano più in termini di carriera, ma ragionano in termini di singoli. Io continuo a pensare che non esista un periodo dove tutto andava bene. L’unico mio rammarico è che il rock abbia perso la sua valenza in termini di impatto. I giovani oggi non ascoltano solo il rock, e questo è ovvio. La verità è che i grandi gruppi e i grandi nomi non hanno trovato eredi. Quando si riusciranno a individuare i nuovi Rolling Stones, Dylan o Springsteen allora, forse, anche la base del rock ‘n’ roll tornerà a stare meglio di come sta oggi».

Hai intervistato musicisti e cantanti famosissimi, italiani e internazionali. Qual è l’intervista più strana che tu abbia mai fatto?

«A Monaco di Baviera, durante la mia prima intervista con lui, Nick Cave mi vomitò addosso. Questa è, forse, in assoluto, l’esperienza più alla Tarantino di tutte quelle che avuto. Mi viene in mente anche quando ho intervistato Nico. Stiamo parlando di una leggenda, della donna che ha fatto innamorare tutti, della “regina dei ghiacci” che ha cantato nell’album forse più importante della storia del rock, quello con i Velvet Underground del 1967 prodotto da Andy Warhol. Per me, anche se ormai la bellezza era sfiorita perché la dipendenza aveva lasciato più di un segno, è stato davvero emozionante. La incontrai a Colonia. Ogni volta che le facevo una domanda lei mi rispondeva sempre: “Sorry?”. Io ero sempre più imbarazzato. Ero convinto di parlare un discreto inglese, ma evidentemente con lei non riuscivo a farmi capire. Quindi, con un po’ di fatica,  faccio questa breve intervista, che in realtà è stata anche bella, in cui mi ha parlato anche di Jim Morrison, il suo grande amore. Alla fine dell’intervista, parlando altri giornalisti ho scoperto perché Nico non riusciva a capirmi subito: era sorda da un orecchio!».

 

 

Trovate l’intervista integrale sul nostro canale Instagram!

Titania: un metallo leggero, ma forte e brillante!

Tania Galante, per tutti Titania, è una disc Jockey e conduttrice radiofonica di origini toscane, attualmente presso Radio Freccia. Titania racconta la sua storia e condivide in diretta Instagram su Radio Checkpoint la passione per il suo lavoro e per la radio, il suo sogno più grande divenuto realtà. La nostra intervista con lei nasce da una profonda amicizia e stima reciproca e abbiamo fatto così due chiacchiere, ecco: perché “noi non le chiamiamo interviste!”.

Tania Galante non si limita a condividere con noi i suoi sogni e la sua passione: condivide con noi anche la sua simpatia e il suo entusiasmo, estremamente contagiosi, che conferiscono alla nostra chiacchierata un atmosfera davvero familiare!

Dopo un primo e piacevolissimo scambio sulla domanda: “Come stai?”, alla quale Tania eloquentemente e con ironia risponde che “Dopo questo periodo ci stiamo riappropriando delle nostre vite”, comincia così in allegria la nostra chiacchierata, inaugurata dal racconto di una jam session a cui Titania ha assistito.

Hai realizzato il sogno meraviglioso di lavorare in radio, come sei riuscita a realizzare questo sogno?

Molti anni fa gestivo un’organizzazione di eventi live presso un locale, in provincia di Reggio Emilia. C’era un ragazzo, che veniva tutte le volte a tutti i concerti che organizzavo. Era insomma una sorta di cliente fisso! Così siamo diventati amici e un giorno mi propone di collaborare con lui, invitandomi a lavorare alla sua web radio. Io avrei parlato di musica. Lo studio era un po’ improvvisato: era brutto, ma tutto era bellissimo! Questo è stato il mio primo passo. Per lavorare in radio occorre un bisogno intrinseco di comunicare! Prima di Radio Freccia c’è stata un’altra radio: si chiama K Rock Radio Station, in cui ho condotto per qualche anno un mio programma sulla musica rock anni ’80. Io ho sempre ascoltato Cecile B con ammirazione, la quale ai tempi conduceva nell’orario in cui ora io vado in onda! Una sera mentre cenavo, ascoltavo lei in radio visione. Le mando un messaggio, scrivendole che non volevo che lei lo leggesse in diretta, perché era per lei, e che mi piaceva tantissimo quello che faceva e come lo faceva. Le dissi inoltre che mi piacerebbe che ascoltasse una mia conduzione radiofonica e nient’altro! Non credevo che mi ascoltasse e invece sono stata piacevolmente smentita. Mi ha mandato un messaggio e ha detto: “Lo sai che sei proprio brava?”. Quando ho letto il messaggio, ero fuori di testa!

Quindi quale caratteristica dovrebbe avere un conduttore radiofonico per comunicare in modo efficace?

Prima di tutto: “la voce in radio conta, ma non conta”. Possono esserci conduttori radiofonici con una voce incredibile, ma che non sono così efficaci nella comunicazione. Penso che un bravo speaker radiofonico deve porsi una domanda fondamentale: “Di cosa vuoi parlare?”, perché la prima regola per essere una bravo conduttore è essere curiosi, cioè sapere di cosa si vuole parlare e avere il bisogno di comunicarlo. Devi portare te stesso in onda e se non sai cosa dire, si sente! Certamente occorre avere un’impostazione quasi giornalistica, mantenendo tuttavia quella dose si se stessi, che rende autentica la comunicazione. Soprattutto all’inizio occorre soprattutto fare, mettersi in gioco. La palestra migliore è quella che riusciamo a fare da soli.

Cos’hai trovato di speciale in Freccia?

Tutto il gruppo è quasi una famiglia. Certamente ci sono i sottogruppi, ma di fatto siamo tutti uniti. Ecco: non ho trovato semplicemente dei colleghi, alcuni posso veramente chiamarli amici, quelli a cui puoi dire che hai bisogno di parlare, perché vuoi sapere cosa ne pensano. Io ho trovato proprio questo: noi che usciamo per abbracciarci e che ci sentiamo per ridere. Siamo proprio amici. Fin da subito mi sono sentite inclusa nel gruppo, soprattutto all’inizio. Mi sono sentita parte di qualcosa.

Stai lavorando ad una nuova trasmissione? Hai altri progetti in cantiere?

Da due mesi ho iniziato a condurre un nuovo programma, chiamato Titanium Selection, in onda il primo sabato di ogni mese, di cui programma la scaletta. Parte dal rock classico fino ad arrivare al metal estremo! In fondo io sono una metallara! Questo format sta riscontrando molto successo! Alla gente piace tanto! Sto cercando di inserire tutti i generi del macro-mondo del rock, come se fossi un dj set. Riguardo il futuro vedremo! Grazie a Radio Checkpoint per questa chiacchierata!

ALTERIA: LA VOCE ROCK ITALIANA DEL CAMBIAMENTO!

Stefania Bianchi, in arte Alteria, è una musicista, cantante, compositrice rock, conduttrice radiofonica presso Virgin Radio e certamente una delle front woman più famose della nostra penisola. Si racconta in diretta Instagram su Radio Checkpoint, ripercorrendo la sua storia, la sua carriera e parlando dei suoi progetti attuali e futuri.

Alteria inoltre ci parla di sé, di cosa significa lavorare in radio e di cosa implichi essere un musicista rock, dalle competenze, dalla professionalità, in partciolare del significato e delle implicazioni delle proprie scelte artistiche, tecniche e  di espressione.

Innanzitutto come nasce il nome “Alteria”? Ha una storia alle spalle?

L’inizio di questa storia è decisamente un po’ comico. Avevo circa 16-17 anni. Presi una cotta per un cantante, più grande di me, il quale mi disse che ero il suo “alter-ego”. Reagii positivamente a questo nome! “Stupendo” pensai! Quindi quando iniziai a cantare, mi venne in mente questa cosa ed è diventata il mio nome, che poi ho reso più femminile, appunto Alteria! Alterega non suonava benissimo, quindi ho aptato poi per il mio nome attuale!

Quando hai capito che la musica sarebbe diventata il lavoro della tua vita?

Direi proprio intorno ai 16 anni. Decisi di proseguire in ogni caso con gli studi. Dopo il diploma ho frequentato l’università, laureandomi successivamente. A 17 anni ho iniziato a cantare in una cover band e ricordo che facevamo tante date, almeno 12 live al mese. Era diventato un impegno concreto e di fatto un lavoro retribuito. Quindi ho capito in quel periodo che quello sarebbe stato il lavoro, che avrei fatto per tutta la vita. Dalla cover band sono passata a progetti solisti, più personali. Nel frattempo infatti mi evolvevo, crescevo. Sono quindi arrivati gli inediti. Tuttavia è arrivata prima la televisione in realtà. Ho collaborato infatti per molti anni con ROCK TV. Negli ultimi anni è arrivata la radio!

Sei anche una musicista e porta avanti un tuo progetto solista. Puoi parlarci del tuo ultimo album “Vita imperfetta“? Hai anche recentemente pubblicato il video di un tuo brano “Zero necessità“.

Tutto il disco è nato in un momento della mia vita particolarmente tosto, da un punto di vista personale, sentimentale e comunque da tutti i punti di vista, perché si sono verificati tanti cambiamenti contemporaneamente: ho cambiato radio, dopo molti anni di relazione è arrivata la rottura, trasferimento e cambio casa… Insomma la mia vita stava completamente cambiando. Mi chiedevo: “Costa succedendo?”, avevo praticamente perso il mio baricentro. Scrivere una canzone è stato un modo per esorcizzare quel momento, le paure e le ansie. Quindi tutti il disco nasce proprio da quel periodo ed è una fotografia di anni veramente tosti! Inizialmente l’album doveva intitolarsi “Denso”, proprio perché è una spremuta di sentimenti. Alla fine ho scelto il titolo corrente, con cui l’ho pubblicato. Tuttavia il concetto rimane lo stesso.

Hai iniziato da giovanissima a lavorare con la musica. C’è un testo o una canzone a cui ti senti più legata?

Se parlo del disco precedente, potrei citare “Peccato“. In effetti parlando di questo disco, potrei citare un paio di episodi di cui sono molto fiera. Ho iniziato a scrivere in italiano solo recentemente, anzi “Vita imperfetta” è solo il secondo disco che scrivo in italiano e non è scontato fare rock in italiano. Ecco: mi sono sentita più matura. Potrei citare anche “Punto di rottura” e “Miracolo”.

Cosa diresti alla te stessa degli inizi?

Sarei indecisa fra due cose: direi alla me stessa di quindici anni fa di viverla con più tranquillità. Ho inseguito tanto il sogno di diventare una cantante e di avere un mio “successo”. Adesso che ho 37 anni mi rendo di tante cose. Fare la cantante rock è davvero un sogno complicato. Quando inizi a divertirti, cioè quando inizi a essere più rilassata, cominci ad vedere i primi risultati. Ecco: in passato mi sono un po’ “incastrata” nel tentativo di arrivare ai miei obiettivi. Adesso sono decisamente più tranquilla.

Com’è lavorare in radio?

È bellissimo! È il lavoro più bello del mondo! Sono davvero grata di fare questo lavoro e ogni mattina ringrazio per questo lavoro. Anche per la radio ho fatto il mio percorso. Ho lavorato per molti anni in una web radio, in cui gestivo praticamente tutto! Mi sono formata così! Inoltre mio padre era uno speaker radiofonico da quando aveva 17 anni presso una radio locale lombarda. Quindi guardavo mio padre, lo osservava e pensavo: “Quanto è bello questo lavoro!”. Lui riceveva le lettere degli ascoltatori e amavo la familiarità che si creava. Insomma lavorare in radio è una cosa che ho nel DNA. D’altronde mi sono laureata con una tesi in radiofonia. La radio c’era già! Se potessi, resterei in diretta otto ore al giorno! Ciò che mi piace di più del lavoro in radio è l’idea della mia voce – almeno questo è ciò che immagino – che entra in casa mentre qualcuno mette su una moka o in macchina, mentre qualcuno sta andando a lavoro. Cioè immagino un’amica che si aggiunge alle tue attività. E poi amo parlare di rock e di incuriosire le persone, spiegare certi argomenti, renderli miei e farteli arrivare. Inoltre mi piace informarmi e la ricerca, che ci sono dietro al lavoro di radio.

Volgendo ora al termine della nostra chiacchierata, quali sono i tuoi progetti futuri?

Sono già molto contenta così. Voglio tornare a fare concerti e spero che di vedere il programma in radio crescere sempre di più. Ho diverse idea in testa. Vorrei scrivere qualcosa e non sottoforma di testo… Staremo a vedere! Grazie a voi di Radio Checkpoint per l’invito e resteremo in aggiornamento!

 

Intervista realizzata 14/06/2021

ANDREA ROCK: L’ANIMA IRISH E PUNK DEL ROCK ITALIANO

Andrea Toselli, alias di Andrea Rock, è uno speaker radiofonico, attualmente presso Virgin Radio, musicista, compositore, cantante e attivista. Certamente Andrea non è solo una delle figure più famose nella scena rock italiana, ma è anche famoso per le sue collaborazioni umanitarie, come con Amnesty International, avviando molti progetti per il bene del prossimo. Andrea si racconta su Radio Checkpoint in diretta Instagram

Andrea si contraddistingue per delle sonorità autentiche e decise, che mostrano la linea precisa che intende tracciare con il suo progetto musicale, dall’anima eclettica e decisamente irlandese!

Ti occupi di tantissime attività, tutte legate da un filo rosso ben preciso: la musica! Quando hai capito che la musica sarebbe diventata il tuo lavoro?

Ho capito che sarebbe stata la mia passione più grande molto presto. La musica è un linguaggio per rapportarmi con il mondo. Ho capito che proprio questo sarebbe stato il linguaggio che avrei sempre usato, per raccontare la mia vita e analizzare la società che ho interno. Avevo 14/15 anni, quando il punk-rock è arrivato nella mia vita, e ancora oggi sento di arricchirmi tanto con la musica che ascolto di tutti gli artisti che seguo e con quella che ovviamente compongo.

A proposito di società ti sei spesso definito un “artista sociale”. Sei molto impegnato con associazioni benefiche infatti. Collabori con Amnesty International giusto?

Sì! Sono un attivista di Amnesty International dal 2017 ed è stata una scelta quasi obbligata, perché sono entrato in contatto con loro molti anni prima, prestando la mia disponibilità per alcuni dei loro eventi. Da allora mi sono sempre interessato alle loro cause, quindi è stata da questo punto di vista una scelta decisamente obbligata, cioè spontanea e automatica! Collaboro con il Gruppo Centro di Milano e cerco di occuparmi della parte a me più consona: la comunicazione, cercando di coinvolgere più persone possibili in quelle che sono le tematiche dei diritti umani. Questo ha influenzato uno dei miei progetti musicali, gli Andead. Con gli Andead parli di queste tematiche in modo crudo, diretto e sincero, in chiave Punk-rock. Senza compromessi! Uno dei temi principali dei nostri testi è lo Human Right Defender, un tema che dà anche un po’ fastidio ad alcune personalità. Ma d’altronde noi non vogliamo assecondare nessuno! Abbiamo avviato anche una raccolta fondi per il Policlinico di Milano durante la pandemia. Il nostro bassista è cardiologo e ci ha segnalato questa struttura, che in periodo pandemico richiedeva un maggior supporto. Lo facciamo con il cuore.

Rispetto agli artisti impegnati politicamente, cosa ne pensi del discorso di Fedez?

Credo che abbia fatto molto bene! Molti artisti si “siedono” dinanzi a tante esigenza di sistema e lui addirittura ha menzionato nomi e cognomi, cosa non affatto facile. Ha utilizzato al meglio uno spazio pubblico. Sarà oggetto di critica da molte persone lui nel frattempo è maturato tantissimo come artista. Io – al suo posto – forse avrei cercato di non menzionare nomi e cognomi. D’altronde era chiaro che si trattasse di una determinata fazione politica. In ogni caso avrei cercato di svegliare delle coscienze. Lui ha comunque una grande responsabilità, perché ci sono tante persone che lo ascoltano. Credo che lui sia mossa da una volontà sincera di svegliare gli animi. Semmai volesse una mano per il suo progetto può contare su di me!

Adesso facciamo un passo indietro. Dai tuoi brani emerge tantissimo il tuo legame con la cultura irlandese. Come ti sei avvicinato a questa cultura e come ha influito sulla tua musica?

La passione per la cultura irlandese è arrivata dopo la mia prima visita in Irlanda, quando avevo 14 anni in concomitanza con la mia scoperta del punk-rock. Conobbi lì un gruppo di ragazzi che aveva una band punk: da qui mi sono consacrato al genere musicale e alla cultura irlandese. Quando sono tornato, volevo saperne di più di questo paese. Ho iniziato con la musica, poi l’arte, la storia, la geopolitica e infine la letteratura. Il mio prossimo disco, che andrò a pubblicare come solista – progetto chiamato Andrea Rock & the Rebel Poets – sarà maggiormente dedicato all’Irlanda. Già nel 2015 ne pubblicai uno, intitolato Hibernophile. Il nuovo disco sarà ancora più focalizzato sull’Irlanda, principalmente sulla sua storia. Sarà un disco, sicuramente trasporterà l’ascoltatore anche più disimpegnato. Chi vorrà approfondire, come te appunto, ci saranno tanti spunti di riflessione. Cerchiamo di inserirci nella cultura musicale delle “Rebel Songs”, canzoni legate a quella che in Italia chiameremo “Resistenza”, ossia la famosa Rising Easter Irlandese. Sarà un attualizzazione di quel mondo autorale. Il nostro primo brano si intitola “Folk Punk Anthem”.

Puoi raccontarci una giornata-tipo in Virgin Radio?

Noi speaker andiamo lì in occasione delle nostre dirette, soprattutto durante il periodo pandemico per non creare assembramenti. La mia giornata inizia una serie di ricerche molto intense, per aggiornarmi sulle notizie più importanti e sugli spunti e le riflessioni, che porterò durante la trasmissione di Virgin Generation. Parallelamente ho aperto anche un canale Twitch, in cui posso parlare di tutto quello, di cui non posso parlare in radio per ovvie ragioni editoriali. In ogni caso la mia giornata è scandita da ciò che andrò a comunicare. 

Parlando della musica come linguaggio universale, dopo il Covid-19 come essa si reinventerà?

Credo che la musica si stia già reinventando, soprattutto per quelli come me e te che si occupano di comunicazione. Non avremmo mai immaginato di fare delle dirette su Instagram o su Twitch, insomma ora c’è l’esigenza di altri spazi di espressione, che di fatto stiamo già utilizzando. Quindi questo ha modificato lo stato attuale del mondo musicale. Dopo la pandemia – sul palco – sicuramente sarà una vera e propria esplosione emozionale.

Sei anche molto appassionato di libri e fumetti giusto?

Il fumetto per me è stato il primo codice, con cui ho interagito con il mondo. La chiave di lettura, che ho del fumetto, è il supereroe con super problemi. Quindi ancora oggi consumo fumetti, perché mi rispecchio in questi racconti. Non solo è un modo per riallacciarmi alla mia gioventù, ma è una maniera per comprendere il mondo odierno in una prospettiva più strutturata. Sui costumi dei supereroi ci sono quelle gigantesche sfumature di colore, che possono insegnarci ad relazionarci con il prossimo, soprattutto negli ultimi vent’anni.

Volgendo ora al termine della nostra chiacchiera, quali sono i tuoi progetti futuri?

Nel febbraio del 2020 abbiamo pubblicato un EP intitolato “Old but Gold”, a metà! Abbiamo in serbo molte collaborazioni importanti! Ci vorrà ancora un po’ di tempo. Sicuramente arriverà qualcosa nel Marzo del 2022. Abbiamo insomma tante cosa nel cassetto. Per tutti gli amici di Radio Checkpoint grazie! Grazie per questo spazio che mi avete offerto. Oggi non è facile trovare spazio sul web per tutte le realtà emergenti, quindi grazie!

 

Intervista realizzata 04/05/2020

NICO CARMINATI: «IO AMO LA RADIO, PERCHÉ È COSTANTE DELLA MIA VITA»

Nico Carminati è una delle personalità radiofoniche più famose sul panorama nazionale. Speaker radiofonico e direttore tecnico presso Virgin Radio, Nico si racconta a Radio Checkpoint in diretta Instagram, parlando della musica, delle sue origini e di come la sua carriera sia iniziata.

Nico ci parla degli inizi e di cosa significhi lavorare in Radio, della professionalità e della competenza, ma soprattutto della passione e dell’amore sconfinato che occorrono per svolgere questo lavoro.

Inizi e primi passi nel mondo radiofonico: come è iniziata la tua carriera in radio, cosa ti ha spinto a intraprendere questo percorso lavorativo?

È una storia lunga. Ho 54 anni e sono in radio da 43 anni! Ero un ragazzino, quando un pomeriggio, girando in bicicletta, mi sono fermato a vedere una cantina, da cui fuoriusciva della musica. Ne è ero profondamente incuriosito, così ci andavo tutti i giorni. Ma un giorno mi fecero entrare e non ne sono mai più uscito! Ho iniziato proprio così. All’epoca mi occupavo della pulizia dei dischi, dei vinili.

Musica e Radio, un binomio inscindibile: tu che rapporto hai con la musica?

Amo la musica e amo la radio. È difficile spiegarlo, perché “qualsiasi cosa io facessi, la radio è sempre stata con me. Mi ha salvato da tutto”. Io amo la R&B, vengo sostanzialmente da questo genere. Mi piace la musica italiana, il Rock, la Dance, il Pop. Insomma un po’ tutto! Come speaker radiofonico mi sono occupato tanti generi musicali, avendo lavorato per tante stazioni diverse, che appunto passavano musica diversa. Da circa 13 anni mi occupo di musica Rock. Benché ami la musica, non riesco a immaginarmi senza la radio. Infatti musica e radio hanno un rapporto trasversale. La mia passione per la radio contiene la mia passione per la musica. Quando sono dietro al Mixer con il mio programma, mi dimentico di tutto! Ed è la stessa cosa di quando metto le cuffie e faccio una serata. Tu capirai sicuramente e solo in pochi lo capiscono. La radio è condivisione e non possiamo immaginarla senza qualcuno che ascolti. Ho passato tutti i Natali in radio e così tutte le feste. Insomma la radio è casa mia. È amore, semplice! E mi viene da sorridere all’idea che fra circa cinque anni andrò in pensione, perché sento che posso ancora dare molto. Se immagino il mio ultimo giorno in radio mi vengono i brividi, perché sono ancora quel ragazzino in bicicletta, incuriosito dal lavoro di quello speaker nel ’79. Io sono campano, sono di vivere ad Ischia e sono legatissimo a Napoli, in particolare sono legato alla musica di Pino Daniele.

Sei molto legato alla tua terra, a Napoli e comunque a tutta la Campania. Che rapporto hai con Pino Daniele?

Quando sono entrato in radio, davano spesso i suoi brani. E poi Pino Daniele rappresenta la mia terra, soprattutto il primo Pino Daniele. Quando ascolto “Napul’è”, mi esplode il cuore, perché chi non conosce Napoli non può capire pienamente. Nei primi anni ’70, quando i miei genitori si sono trasferiti a Milano, era difficile, perché il terrone. Questo era discriminatorio, ti faceva sentire escluso, ma qui parliamo di ignoranza. Ti dirò; quando avevo 14 anni e prendevo il treno per andare a scuola, una mattina c’era sempre scritto: “Via i terroni”. E io pensavo cosa ho fatto di male a queste persone per meritarmi tale avversione. Un giorno tolgono la scritta e ne mettono un’altra, decisamente più razzista: “Via i neri”. Questo mi ha fatto riflettere tanto. Si tratta di ignoranza e nient’altro. In ogni caso tutte le persone che sono venute con me a Napoli, se ne sono innamorate.

Oltre a Pino Daniele, ci sono anche altri artisti a cui sei particolarmente legato?

Devi sapere che nel 1979/1980 ho avuto la fortuna di incontrare Vasco Rossi, al quale sono devotissimo! Sono andato a vederlo in concerti, l’ho seguito un po’ ovunque. Nelle canzoni di Vasco ho sempre visto della poesia. Tuttavia negli anni ’90 ho smesso di andare ai suoi concerti, perché lì vedevo delle persone che non mi piacevano, cioè che abbinavano Vasco al alcol e tante cose che non vedevo nella sua musica.

Tornando adesso all’inizio della nostra chiacchierata, com’è stata la tua prima volta in radio?

Dopo una prima fase, in cui pulivo e passavo i dischi, ho iniziato ad andare in onda un mio programma. Si trattata di una radio locale, piccolissima. I soldi che mi davano i miei genitori per la paghetta, li spendevo in dischi per la radio. Mio padre mi diceva sempre: “con due stronzi come te faccio anch’io l’imprenditore”. Ma devo ringraziare, devo rendere grazie alla Lombardia che mi ha dato al fortuna di essere qui e di lavorare in radio.

Con tutta la tua esperienza cosa diresti a un giovane, che vuole iniziare la sua carriera in radio? Cosa gli consiglieresti?

Bella domanda! Purtroppo oggi ne vedo sempre meno, perché è una vita di sacrifici. Inoltre mi rendo conto che non si guadagna tanto, almeno all’inizio. Chi vuole iniziare deve avare la passione, la voglia di fare. Solo così puoi farcela, perché ti ritrovi in uno studio con tante cose da fare… Per me è il lavoro più bello del mondo! La passione è quella carica che ti fa andare avanti.

Com’è cambiata la radio negli ultimi anni? 

Praticamente è cambiato tutto, dal supporto – come il vinile – fino ai mezzi di trasmissione.  Forse manca un po’ quella poesia oggi. Avevi un rapporto diverso con la musica che trasmettevi. Prima toccavi la coperti, prendevi il disco o il vinile, ora invece inserisci un file. Ciò deriva dal fatto che la radio deve fare numeri, cioè si aziendalizzata. Dal mio punto di vista io continua a vivere la radio come quel ragazzino in bicicletta. Il mio rapporto con essa non si snaturato. Molte persone non sanno cosa significa alzarsi alle 4 di mattina e finire alle 16 di pomeriggio. La gente fatica ancora a capire cosa comporta lavorare in radio. C’è sempre un lavoro, che io prendo con il massimo della serietà. Direi che a me non piace il fatto che la radio si veda per esempio in tv. Si è perso qualcosa secondo me. Va benissimo il progresso, ma non bisogna dimenticare la poesia. Questo riflette il mio rapporto intimo e romantico con la radio. Oggi c’è molta attenzione al divismo, cioè diventare immagine commerciale della radio.

Giunti ormai alla conclusione della nostra chiacchiera, hai qualche progetto futuro di cui vorresti parlarci?

Si spera di ripartire con i festival e con le nostre serate. Partiremo con degli eventi con Massimo Cotto. Non dimentichiamoci mai della poesia! 

 

Intervista realizzata 01/06/2020

«LO YOGA E LA MUSICA PER SUPERARE LA MALATTIA»

La storia di Simona è una storia di dolore e rinascita, in cui molti potranno rispecchiarsi e, magari, trovare conforto e speranza. Una storia dove la malattia quasi non trova spazio, scompare nell’enorme energia di una donna che non ha mai perso il sorriso neppure nei momenti più bui.

Simona è la persona che tutti noi vorremmo essere e che non sempre abbiamo il coraggio di essere: una persona capace di reagire a tutte le avversità e di plasmare il suo futuro, una donna che ha deciso di non rinunciare alla felicità, nonostante tutto.

Per Simona questi non sono stati anni facili, ma è riuscita sempre a superare gli ostacoli, grazie alla sua tenacia, agli affetti e alle sue grandi passioni: lo yoga e la musica.

«La musica mi ha aiutato molto, è stata una grande distrazione per me. Una vera e propria libertà dal dolore», la voce decisa di Simona, “Sissy”, entra nella testa, incidendo parola per parola tutto quello che racconta.

Nel maggio del 2019 Simona cade dal motorino e inizia ad accusare dei dolori al seno. Decide quindi di sottoporsi a una visita medica e a una mammografia. Scopre così di avere un tumore.

L’ultimo controllo, effettuato meno di un anno prima, non aveva creato preoccupazioni: sana come un pesce. La malattia, insidiosa, si era però sviluppata in pochi mesi e stava prendendo il controllo del corpo di Simona.

«Carcinoma in stato avanzato», è stata questa la diagnosi della primaria di radiologia del Cardarelli di Napoli, che subito ha rassicurato la sua paziente: «Verrai operata, farai la terapie e guarirai».

A volte bastano poche parole per cambiare la vita di una persona e quando Simona scopre la sua malattia, dopo un iniziale momento di sbandamento, decide di non abbattersi: si sarebbe rimboccata le maniche, avrebbe lottato.

«Il mio obiettivo era diventato quello di togliere il nemico che mi aveva invaso il corpo», dice Simona con la sua solita, incredibile, calma. Inizia a seguire pedissequamente le istruzioni dei medici: «Non mangiavo carne da vent’anni, ma per poter affrontare la chemioterapia e l’operazione avevo bisogno di essere in forze. La mia voglia di guarire presto, di curarmi, era più forte di tutto; talmente forte che sono riuscita ad arrivare all’operazione in tempi record».

Simona inizia a perdere i capelli, le unghie e le sopracciglia, ma non perde mai il buon umore, la voglia di aiutare gli altri e di amare la vita.

La storia di Simona ci insegna l’importanza della prevenzione, anche quando crediamo di essere sani e immuni da ogni cosa. Simona è una maestra di yoga da più di vent’anni, vegetariana, con uno stile di vita sanissimo; molto attiva nel sociale e nel mondo volontariato. Nonostante tutto, però, la malattia colpisce proprio lei. «Non ho mai pensato di essere stata sfortunata. Dopo aver scoperto la malattia ho pensato solo a reagire e a stare bene», racconta Simona.

«È importante sottoporsi a controlli regolari e avere uno stile di vita corretto. – continua Simona – Molte donne non si curano abbastanza: prese dal lavoro, dalla famiglia e dai mille impegni, finiscono per trascurarsi. La Fondazione Veronesi, di cui faccio parte, si batte da anni per sensibilizzare le persone su questi temi. Dobbiamo insistere e parlarne il più possibile».

Il tumore del seno è oggi la malattia oncologica più diffusa fra le donne e colpisce una donna su otto. Nel 2018 sono stati diagnosticati circa 2,1 milioni di casi di tumore al seno nel mondo, per i tre quarti nei paesi più sviluppati. Il settanta per cento dei casi riguarda donne oltre i 50 anni, perché il rischio di sviluppare un tumore al seno aumenta con l’età, in particolare intorno alla menopausa.

Nonostante l’alta incidenza, il tumore al seno è una malattia che si può, anzi si deve, sconfiggere.

«Durante i cicli di chemio, che durano ore, mi ha aiutato molto la musica. Queen, Depeche Mode, Tina Turner e i Coldplay con “Viva la Vida” mi hanno accompagnata per tutto il mio percorso di cura. Per me ascoltare le mie canzoni preferite in quei momenti diventava una via verso la libertà», spiega Simona.

Grazie alla sua forza di volontà, Simona raggiunge il suo obiettivo e arriva all’operazione. Da Napoli vola a Milano per sottoporsi all’intervento che, grazie a Paolo Veronesi, si dimostra un successo.

Proprio quando sembrava tutto finito, la vita, però, ha presentato un’altra sfida a Simona: «L’operazione è andata bene, ma durante il lockdown ho avuto una parestesia alla mano per una plessopatia post attinica. È un effetto collaterale, in realtà abbastanza raro, della radioterapia. Sto già sperimentando nuove strade per superare i miei limiti».

Il cammino per tornare alla normalità è ancora lungo, ma nelle parole di Simona non c’è rassegnazione o commiserazione per se stessa.

Ha superato tanti ostacoli e ora è pronta ad affrontare questa nuova sfida.

  *Intervista realizzata a marzo 2021

SPEAKER CENZOU: «FELICE DI ESSERE UN’ISPIRAZIONE PER I RAGAZZI»

Speaker Cenzou è una delle voci più note del panorama musicale partenopeo.

Dagli inizi nel quartiere di San Lorenzo passando per il gruppo La Famiglia e la carriera da solista, Vincenzo Artigianonome d’arte di Speaker Cenzou, ha fatto parecchia strada, senza mai smettere di essere fedele alla sua arte e alla sua musica.

Napoli ieri e oggi: il tuo nome è legato da sempre alla scena musicale napoletana, come vivi il cambiamento della città negli ultimi anni?

Credo che ci siano sempre due modi per affrontare un cambiamento: il primo è rifiutarlo, ripudiarlo, perché ovviamente ci proietta fuori dalla nostra “comfort zone”. Molte persone sono spaventate dai cambiamenti, conosco alcuni che sono letteralmente traumatizzati da tutto quello che minaccia lo status quo. Per mia fortuna non sono mai stato questo genere di persona, anzi.

Il secondo modo per fronteggiare un periodo di cambiamento è, semplicemente, “accettarlo” , abbracciarlo quasi; con questo non intendo dire di cambiare ogni secondo e plasmarsi a quello che succede introno, ma mantenere nella propria individualità e nei propri tratti distintivi la possibilità di essere fluidi e di scorrere all’interno dei cambiamenti. In tutti i campi e gli aspetti della vita, a mio personalissimo parere, non vedere e non considerare il cambiamento ci proietta automaticamente fuori dalla realtà presente.

Il rap a Napoli era la musica dei centri sociali, adesso ha un pubblico molto più vasto. Cosa pensi di questa evoluzione?

Dire che il rap sia a Napoli che in Italia fosse la musica dei centri sociali, a mio personalissimo avviso è un “falso storico”; sia a Napoli che nel resto dello Stivale nei primi anni ’80 c’erano i pionieri che studiavano quest’arte e provavano e sperimentavano questa cosa attraverso il linguaggio a prescindere dalle realtà dei posti occupati, in luoghi di aggregazione, pubblica , per strada in posti come il Regio a Torino o il Muretto a Milano.

Più avanti i centri sociali sono stati amplificatori di questa esigenza artistica e hanno dato spazio e contesti di visibilità a tante realtà artistiche; ma questo binomio (rap- centri sociali, ndr) spesso è usato in modo improprio. Partendo da questo punto di vista, si può tracciare una linea differente, che ha portato gli artisti a fare percorsi diversi a seconda delle necessità comunicative o semplicemente per un discorso di interesse e\o guadagno. Quello che posso dirti è che prima di buono c’era una netta divisione fra un circuito musicale che proponeva qualcosa di inedito, di unico; per farla breve, prima per farti notare dovevi distinguerti artisticamente, cercando di fare qualcosa in un modo che fosse solo il tuo, con gli anni, invece, c’è stata una corsa a fare tutti la stessa cosa per essere legittimati dal mainstream. Tutt’oggi, per farti notare musicalmente devi corrispondere a dei canoni musicali, estetici, e comunicativi, che di fatto non permettono di proporre qualcosa che non sia entro certi parametri.

Come fai a spiegare a chi non fa musica le tue “pause artistiche”? 

Per me la cosa è abbastanza semplice: scrivo e pubblico dischi e/o pezzi, o qualsiasi altro contenuto, quando ho vissuto cose che mi hanno ispirato e dato materiale umano ed emotivo da trasformare in arte. Amo prendere il mio tempo, per studiare, per essere ispirato o semplicemente per vivere le storie che poi racconterò nei miei testi. Quanti artisti fanno sempre lo stesso pezzo o lo stesso disco perché magari hanno centrato una formula che ha pagato e la ripropongono all’infinito?

Grazie a Dio, o chi per esso, ho una visione diametralmente opposta: ho la necessità di alzare sempre l’asticella, di sfidare me stesso e far uscire qualcosa che non sia mai e poi mai uguale alla precedente; ho la continua necessità di ispirazioni e senza aver vissuto nulla di nuovo e stimolante mi sentirei a disagio a replicare qualcosa che ho già fatto in passato. Ho rifatto per il ventennale della sua uscita il mio primo album, ma il progetto è stato proprio trattarlo come se fosse un disco nuovo, come se a farlo fosse il Cenzou di questo periodo storico e non quello degli anni ’90, che spesso purtroppo la gente si aspetta, come se fossi ingabbiato nell’ambra , mentre invece sono un’anima in continuo sviluppo e mutamento.

Maurizio de Giovanni, le serie tratte dai romanzi di Elena Ferrante, Jorit, la nuova scena musicale napoletana. Qual è, secondo te, la differenza tra questa fase artistica e le precedenti?

Da qualche anno il “brand Napoli” è diventato, diciamo cosi, alla “moda” e questa cosa da un lato è positiva per il focus nazionale sulla città e su alcuni aspetti dell’arte; di contro, è negativo perché spesso abbassa la qualità dei contenuti e, per quel discorso di omologazione di cui ti parlavo in precedenza, lascia indietro gli artisti che hanno qualcosa di più particolare e unico da offrire.

Sei un rapper “nerd”, amante della saga “Star Wars”. Da dove nasce il tuo amore per i film di Lucas e come ti hanno influenzato?

L’amore per Star Wars me l’ha trasmesso mio padre; quando era ancora in vita mi fece vedere “Star Wars: Una Nuova Speranza” dicendomi: “Questo film parla della vita e dei valori, a prescindere dallo spazio, le spade laser e dalle astronavi. Tu vai oltre e cogline il senso più profondo”.

Non smetterò mai di essergli grato per averlo fatto, l’influenza di Guerre Stellari nella mia vita è costante. È una compagna di viaggio importante che mi ha permesso di sviluppare una sorta di sesto senso sulle cose della vita, proprio come i cavalieri Jedi, e di credere fermamente non solo ad un mondo inclusivo ed egualitario, privo delle imposizioni e delle tirannie dell’“Impero”, ma anche all’esistenza di una sorta di campo magnetico che unisce e lega tutte le cose, proprio come la Forza.

Secondo te le produzioni artistiche provenienti da Napoli riescono a rompere i pregiudizi sulla città oppure li rafforzano?

Dipende dalle produzioni, ovviamente. Ad ogni modo i pregiudizi purtroppo fanno parte di una visione chiusa ed ignorante delle cose. A prescindere da campanilismi di ogni sorta, ci sono molti pregiudizi già a Napoli su Napoli e pure su chi cerca di fare arte in modo non uniforme a quella che è la moda o il trend del momento. Questo a mio personalissimo avviso è un male ben peggiore e quelli più svegli e intelligenti dovrebbero iniziare a fare questo distinguo, avendo il coraggio di spingere e proporre qualcosa di differente piuttosto che i nomi e i brand che sono più in voga per accaparrarsi click.  Le persone, i follower, vanno educati: se tu proponi sempre e solo X le persone che ti seguono automaticamente penseranno che non esiste nient’altro; mentre invece è proprio nell’ignoto che puoi trovare le migliori sorprese.

Sei passato dai concerti nei centri sociali a essere citato nella fiction di Rai 1 “Mina settembre”, che effetto ti fa?

Fa piacere, perché è una sorta di riconoscimento al mio valore culturale come artista napoletano del mio genere, ma In tutta onestà, non è che mi cambia la vita. Mi sento sempre lo stesso ragazzo, oggi uomo, che ha una necessità espressiva, un’urgenza comunicativa, a prescindere dall’esterno o dalla gratificazione. Ancora prima dei centri sociali, ero un ragazzino che faceva sentire il suo rap ai ragazzi più grandi all’angolo di strada, a via Tribunali, come a New York facevano quelli prima di me nel Bronx.

Ho girato il mondo grazie alla musica e ancora oggi continuo a fare tante cose, sempre grazie alla musica. Posso riassumere quello che tu chiami “effetto” con una semplice sensazione di gratitudine a quanti sono riusciti a vedere e apprezzare il mio operato, sebbene io non sia stato quasi mai un artista mainstream. Sono Felice di poter essere un’ispirazione per i ragazzi più giovani che vedono in me una persona che ha combattuto e ancora oggi combatte per realizzare i propri sogni.

È morto Maradona, non si è sciolto il sangue di San Gennaro e il Lungomare è stato devastato dalla mareggiata. Sono il segno di un decadimento o della necessità di una nuova rinascita?

Ho imparato negli anni che ogni momento di crisi e di smarrimento precede una rinascita. Spesso abbiamo bisogno di sbilanciarci e perderci per poi ritrovare un equilibrio.

L’importante , secondo me, è non perdere mai la bussola di chi siamo, di cosa siamo, e pensare più a quello che ci può rendere felici e un po’ meno a quello che le persone si aspettano da noi. È un momento storico che ci ha reso, per forza di cose, un po’ più soli, un po’ più tristi e un po’ più isolati. Proprio per questo (e chi mi conosce già, sa bene cosa intendo) dobbiamo guardarci dentro e trovare la forza e la determinazione per rimetterci in carreggiata con la nostra vita… Fare una piccola rincorsa e darci un nuovo slancio!

 

 

*Intervista realizzata a marzo 2021