Giornalista, musicista, curiosa, biondissima: Francesca Delogu è un’esplosione di passione, grinta e intraprendenza.
Direttrice di Cosmopolitan dal 2013 al 2021, da anni nel campo della comunicazione e dell’editoria, Francesca ha lavorato nelle redazioni italiane più prestigiose, tra cui Repubblica e Grazia. Una vita sempre con il piede sull’acceleratore, ma senza mai rinunciare alla sua più grande passione: la musica. Francesca suona il basso in una band, ama il rock e conosce a memoria tutti gli album dei Beatles.
Abbigliamento impeccabile, tacchi a spillo e basso in spalla: rompendo tutti gli stereotipi, Francesca riesce a coniugare perfettamente il suo lato rock a quello più glamour. Chiacchierare con lei significa scoprire sempre storie nuove, iniziando a guardare le cose da prospettive diverse, con la stessa curiosità dei bambini quando iniziano a esplorare il mondo per la prima volta.
Giornalista e musicista. Come fai a conciliare la passione per la musica con il lavoro?
«La musica è sempre stata parte di me. Ho anche pensato di fare la musicista, suonavo il pianoforte. Io sono cresciuta insieme alla musica, non posso pensarmi senza. Ho imparato prima a suonare e poi a scrivere. La musica è una cosa che infilo nella mia agenda: è parte di me. Quando ho iniziato a suonare il basso mi sono resa conto che suonare mi aiuta molto anche con il mio lavoro. Il basso si suona in un gruppo e questa cosa ha influenzato anche il mio modo di lavorare: ascolto molto di più. La redazione è come un’orchestra, devi imparare a dirigere ma anche e soprattutto a lavorare insieme».
Qual è l’album o l’artista che ti ha fatto innamorare della musica?
«Quando penso alla musica mi ritrovo molto in quello che diceva Quincy Jones: “Non esistono generi musicali, esiste la musica bella o brutta”. Io e mio fratello abbiamo avuto un baby sitter che ci faceva ascoltare i dischi di vinile. Giocavamo sempre con la musica. Il nostro immaginario musicale è iniziato, quindi, molto presto. Ascoltavamo dischi tutto il tempo: Beatles, Led Zeppelin, Supertramp… Ascoltavamo soprattutto i dischi dei Beatles di metà anni ’60 in poi da “Revolver”. A casa nostra ci sono sempre stati strumenti musicali: mio padre suonava il clarinetto e jazz, mia madre suonava la chitarra. Mio fratello anche è molto dotato: canta, suona più strumenti, scrive musica. Insomma, la musica è sempre stata parte della mia vita da sempre».
Tu ti occupi di moda da tantissimo tempo. Come mai hai scelto questo settore del giornalismo?
«In realtà io non ho mai scelto. Di tante cose che ho fatto ho sempre scelto di pancia, in base a quello che mi piaceva. Tuttora penso: “chissà cosa farò da grande!”. Ho iniziato a fare la giornalista un po’ casualmente. Mi è sempre piaciuto molto leggere, scrivere. La vita da giornalista inizia grazie a un bando di concorso in una scuola di giornalismo a Milano letto su un giornale. Invio la domanda e vengo presa. Da studentessa ho iniziato a collaborare con riviste femminili. Ho fatto di tutto, una grande gavetta. Il primo contratto l’ho avuto con Milano Finanza, dove mi occupavo di economia con focus su moda e lusso. Da lì, piano piano ho iniziato a farmi conoscere. Ho sempre seguito il flusso, la pancia. Alcune opportunità non le ho colte. E non me ne sono mai pentita. Ai giovani consiglio di metterci tanto impegno ma anche tanta leggerezza. Devi cercare di divertirti e di vivere ogni cosa come un’opportunità».
Se un ragazzo ti dicesse che ha una grande passione per un lavoro che però non gli garantisce nessun tipo di stabilità economica cosa gli diresti? Di seguire i suoi sogni o di essere più concreto?
«Gli direi di fare entrambe le cose. Seguire un solo sogno non è una cosa che mi convince. È, secondo me, un falso mito. Fin da piccoli abbiamo chi dice “fai una cosa e falla bene”, ma così ci infiliamo in una monorotaia. Bisogna seguire i propri sogni, senza mai abbandonare le strade più concrete. I sogni sono belli, ma devi avere anche senso pratico. Oggi ci vuole intraprendenza: bisogna buttarsi, essere curiosi e darsi da fare. Anche in cose che magari all’inizio non piacciono».
Simone de Beauvoir nella sua opera più famosa scrive che la donna ha scelto la via dell’immanenza, accontentandosi di essere il secondo sesso, subordinata all’uomo e invita le donne a intraprendere invece la via, quella della trascendenza, tentando di cambiare il mondo. Secondo te oggi le donne in che fase sono?
«In molti contesti c’è ancora tanto da fare, ma oggi ci sono molte opportunità per le donne. Forse la pandemia potrebbe dare un’opportunità alle donne per esprimersi, per far vedere che valgono tanto. Spesso le donne sono più brave perché sono molto più resistenti, hanno più senso della cura. Secondo me oggi le donne sono in un buon momento, ma devono fare rete e aiutarsi a vicenda. In Italia, ma anche all’estero, è difficile vedere donne in ruoli di potere. Lavorare nei team femminili è bellissimo, c’è una connessione unica e molto profonda».
In Italia ci sono poche donne direttrici di giornale. C’è difficoltà a riconoscere l’autorevolezza delle donne?
«Purtroppo, in molti casi ci sono dei meccanismi sedimentati da tempo e quindi diventa difficile per una donna farsi largo. Penso, però, che le cose cambieranno in futuro».
Tornando alla musica. ci sono artisti giovani che segui e che apprezzi particolarmente?
«Mi piace molto Joanne Tille artista giovane, fa musica indie, fusion. Canta, suona. L’ho incontrata per lavoro e mi è piaciuto molto il suo approccio alla musica. Tutto il genere trap faccio un po’ fatica ad apprezzarlo pienamente, ma cerco di non chiudermi: è un fenomeno e lo rispetto. Se questi artisti arrivano al cuore delle persone ci sarà un motivo. Anche i Maneskin mi piacciono molto: sono un gruppo molto unito, c’è una bella intesa nella band. Li ho anche conosciuti per lavoro. Dall’esterno Damiano sembra il membro dominante nel gruppo, in realtà sono molto affiatati e non c’è uno che domina sull’altro».
A proposito di Damiano dei Maneskin – ma anche di Achille Lauro e, molti anni prima, Renato Zero -, secondo te per un artista è più efficace il look oppure il testo di una canzone per trasmettere il proprio messaggio?
«È tutto collegato: il testo di una canzone e il look dell’artista sono come testa e corpo. Se non hai entrambe le cose non duri più di una stagione. Il look è una forma espressiva, non un travestimento. Ziggy Stardust non è un travestimento di Bowie, è il suo alter ego».
David Bowie diceva: “Il rock è sempre stata la musica del diavolo”. Secondo te il rock non piace più perché ha perso questo lato un po’ dannato e sregolato oppure ha semplicemente stancato?
«Il rock è figlio di un’epoca; è stato un genere straordinariamente innovativo a quel tempo. Anche chi suona rock oggi va a cercare dei riferimenti in quel periodo lì, cha parte dagli anni ’60-’70. Deve ancora nascere la nuova forma di rock che tiri dentro i giovani».
Hai mai pensato di sviluppare un progetto editoriale dedicato alla musica?
«Non ci ho mai pensato, ma magari potrebbe essere il mio prossimo step! Anche se un progetto solo editoriale non mi convince. Forse dovrebbe essere un prodotto multimediale e non solo editoriale. Ho solo paura che non riuscirei a essere obiettiva quando si parla di musica, dal momento che suono e che sono così dentro. In ogni caso, sarebbe sicuramente una sfida!».
Co-Founder & Giornalista di Radio Checkpoint