“È stata la mano di Dio”: un viaggio nell’animo di Paolo Sorrentino
“È stata la mano di Dio”, nelle sale dal 24 novembre e in arrivo su Netflix il 15 dicembre, è un viaggio su doppio binario: conduce lo spettatore, da un lato, nelle strade di Napoli, dall’altro, nei meandri dell’animo del suo regista, Paolo Sorrentino.
Abbandonati gli sfarzi di una Roma decadente della “Grande bellezza”, passando per le Alpi svizzere di “Youth” e le lussuose ville di “Loro”, Sorrentino torna nei luoghi della sua infanzia e sceglie per le riprese del film la casa della famiglia Schisa, legata al regista da un’antica conoscenza, e posta al piano inferiore rispetto alla propria abitazione familiare.
“È stata la mano di Dio”, atteso come il film più intimista del regista, è la storia di un dolore che lo riguarda da vicino: quello per la prematura scomparsa dei genitori, deceduti nella villetta di Roccaraso, mentre Fabietto Schisa, l’alter ego di Sorrentino, rimane a Napoli per andare allo stadio a vedere Maradona. …“È stata la mano di Dio”- si dirà – a salvare Fabietto dalla stessa sorte che è toccata ai genitori.
Il film è il racconto di tutto quello che viene prima e dopo la perdita: la speranza, la gioia, la giovinezza spazzate via d’un tratto da un dolore che non sa trovare parole per esprimersi, che non sa farsi lacrime.
E, dopo, il silenzio di una casa vuota, la solitudine, la maturità, tutto a un tratto. Maturità che passa attraverso un’iniziazione peculiare, quella della Baronessa che si assume il compito di traghettare Fabietto verso il futuro, un futuro che questi non ha più il coraggio di guardare negli occhi.
Perché il rischio reale, paventato da Capuano, regista legato a Sorrentino sin dagli anni ‘90, è quello di “disunirsi”: di farsi a pezzi, di frammentarsi e perdere il suo vero io.
Ma, alla fine, come per magia, quel dolore inconsolabile trova la sua sublimazione nell’Arte, consolatoria, rassicurante, l’Arte come fuga da “una realtà scadente”.
“È stata la mano di Dio” è, allora, in primo luogo, un racconto di formazione e la ricomposizione di uno strappo che ci consegna oggi un regista da premio Oscar che sa mettersi a nudo davanti al suo pubblico e farsi guardare negli occhi.
Si comprende, allora, finalmente il senso compiuto della disperata e affannosa ricerca degli sparuti, incostanti sprazzi di eterna bellezza, cui il regista ci ha abituato.
Attorno a Fabietto gravita un’umanità variopinta e brulicante: Patrizia, la disperata, il sogno erotico, la matta; la Baronessa, cinica e sprezzante; il contrabbandiere, che insegna a Fabietto il valore della libertà.
E sullo sfondo (ma neanche poi tanto) Napoli e la sua allegoria, Napoli dove il sacro ed il profano si mescolano nelle strade, nelle piazze, negli stadi, attraverso la consacrazione di Maradona a divinità.
Alla fine, come direbbe qualcuno, non è vero che le emozioni sono sopravvalutate, “le emozioni sono tutto quello che abbiamo”: e forti sono le emozioni che “È stata la mano di Dio” ci regala.
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Articolo scritto da Valentina De Felice
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